Marco Perissa al Think Tank Build in Italy – L’Italia che Abiteremo del 22 Aprile 2024


Marco Perissa Vicepresidente Commissione Parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle Città e delle loro Periferie al Think Tank Build in Italy – L’Italia che Abiteremo del 22 Aprile 2024 ha così dichiarato: “Ringrazio Paolo Crisafi Presidente di Remind per avermi invitato a questa iniziativa. La Commissione di inchiesta si occupa di monitorare lo stato delle città con particolare riferimento alle aree periferiche. Questo dà un pochino la misura diciamo di come si intenda la questione dei processi di urbanizzazione passati e da programmare come una questione di Stato, non come una questione che può essere semplicemente delegata all’amministrazione locale o all’amministrazione regionale Già questo ci dà la misura. Ora, che cosa stiamo facendo e che cosa ho visto? Tutto è il contrario di tutto, soprattutto perché, quando ci spostiamo in missione istituzionale con la Commissione, andiamo principalmente in quei luoghi dove è più facile riscontrare delle forme di disagio, di difficoltà e di fragilità. Purtroppo, in questo caso, tutto il mondo è paese, quindi ti sposti da Genova a Bari passando per Roma e Napoli e le situazioni che trovi sono più o meno le stesse, nel bene o nel male. Ora questo però ci permette anche di dare un minimo comune denominatore alla condizione delle città e delle persone che vi abitano. Questa bellissima cartografia che avete deciso di scegliere per accompagnare il titolo ci dà la misura di come i processi di urbanizzazione all’interno dei sistemi Paese si sviluppino anche in base diciamo alla loro forma geografica, alla loro morfologia del territorio. Se provassimo ad ampliare un pochettino il nostro tipo di ragionamento scopriremmo che secondo dati dell’ONU circa il 54% della popolazione mondiale vive all’interno di aree urbane o urbanizzate.

A volte noi, da Romani, figli della Capitale e di un impero estesissimo, ci siamo portati dietro quell’elemento di provincialismo che poco si confà alla dimensione e alla vocazione internazionale e globale della città che abitiamo. Spesso pensiamo che la nostra sia una megalopoli, dimenticando per esempio che ci sono città e agglomerati urbani come Tokyo o Shanghai che fanno più di 40 milioni di abitanti contro i 4 dell’area metropolitana della città di Roma. Quindi 10 volte tanto. A Roma più ci si allontana dal centro più le condizioni di vita delle persone diventano difficili, ma non soltanto per i temi della criminalità o del disagio giovanile, ma per le infrastrutture, per la carenza di infrastrutturale, difficoltà di trasporto. Al contrario nelle megalopoli del mondo più ci si allontana dal centro più la qualità della vita, per assurdo, migliora. Quindi gli agglomerati urbani soprattutto densamente abitati a livello mondiale sono quelli che vedono le parti con le principali forme di disagio abitativo ed esistenziale. Tanto più ci si avvicina al centro. E qual è però l’elemento che accomuna questa differenza? La densità abitativa.  Maggiore è la densità abitativa, maggiore è il bisogno di un intervento globale di sistema per cercare di alzare lo standard dei servizi offerti nei confronti dei nostri cittadini e garantire quindi una qualità della vita che fa spesso il paio con l’elemento della serenità, ma anche della salute e del benessere, e viceversa della sicurezza. Ora io credo che noi dovremmo ristrutturare completamente il nostro modo di concepire l’abitare. Ci sono dei luoghi in Italia in cui purtroppo la forza pubblica è l’elemento cardine, l’elemento prodromico a sì che le istituzioni possano rientrare all’interno di determinati territori. Tor Bella Monaca, San Basilio, Caivano, ma tantissimi altri quartieri in giro per l’Italia non sono nelle condizioni di esercitare la loro funzione perché il sopravvento della criminalità organizzata ha impedito e impedisce tutt’oggi alle istituzioni di svolgere il loro lavoro. Non puoi non tornare ad operare in quei territori senza l’ausilio indispensabile delle forze dell’ordine che intervengono con forza repressiva dove è necessario nei confronti della criminalità organizzata grazie alle quali poi è possibile che le istituzioni ripristinino degli interventi strutturali e di contesto urbano. Ma se non intendiamo legiferare anche strumenti di correzione urbanistica, rigenerazione piuttosto che sostituzione urbanistica, come fondamentali elementi di programmazione urbanistica noi crediamo che Roma sia finita qui. Se noi immaginiamo Roma fra 50 anni, la immaginiamo che quegli elementi agresti che dividono l’area metropolitana dalla parte periferica del centro urbano andranno via via a riempirsi andando a costruire da qui a 50, 60, 70 anni un unico polo urbano dove l’elemento agricolo e bucolico per capirci lascerà sempre più spazio al processo di antropizzazione del territorio. Se noi immaginiamo che il moltiplicarsi della vita all’interno delle aree metropolitane e il progressivo spostamento dei residenti delle aree agricole verso le aree urbane allora dobbiamo immaginare nuovamente, attraverso l’utilizzo degli strumenti di sostituzione, rigenerazione e programmazione urbanistica, un nuovo modo di intendere la vita all’interno delle città in cui la politica riesca ad essere di nuovo protagonista nel rapporto malsano che negli anni si è verificato tra pubblico e privato.  Questo per andare a ricostruire un rapporto virtuoso dove la politica definisce nella rappresentanza dell’interesse legittimo del cittadino il presupposto di pubblica utilità e subordina la realizzazione del legittimo interesse del privato alla realizzazione dell’interesse comune. Chiarito questo presupposto, proviamo ad invertire il paradigma. Prima di concedere una concessione edilizia si garantisce il collaudo delle parti comune e poi si procede alla costruzione dei palazzi. Se la politica su questo si manifesta intransigente nel disegnare un nuovo modello di città definendo la priorità dei cittadini prima di quelli degli imprenditori, l’imprenditore e il lobbista hanno un solo modo per garantire il loro legittimo guadagno nell’impresa che mettono in campo: assecondare le istanze che le istituzioni rappresentano con determinazione e intransigenza.

Allora avremo zone non urbane in cui prima sorgeranno asili, scuole materne e centri di aggregazione giovanile, strade, punti di collegamento e servizi di trasporto pubblico e socio-sanitari. E successivamente i palazzi, dove andranno a vivere le persone che utilizzeranno quei servizi. Ci dimenticheremo una volta per tutte l’esistenza dei quartieri dormitorio e svilupperemo una politica urbanistica che riparta dal bisogno delle persone. Questo senza dimenticare che ci sono intere sacche delle nostre aree metropolitane che hanno bisogno di un importante intervento correttivo, non solo da un punto di vista di integrazione dei servizi, ma di rigenerazione e sostituzione urbanistica. Non si può vivere dentro un palazzo lungo un chilometro, dove non c’è un’identità del cittadino, dove non c’è una specificità delle persone che vi abitano, gestiti da aziende, in questo caso le ATER, che per definizione nascono in debito e che non hanno da sole la forza di generare manutenzione ordinaria e qualità della vita dei cittadini. Ripristinare anche la capacità di un cittadino di sentirsi parte di un processo urbano e valorizzare la sua identità è un aspetto che a mio avviso diventa fondamentale. È nelle mani di tutti, dobbiamo farlo tutti quanti insieme come ha detto da Paolo Crisafi mettendo al centro il benessere delle persone e la crescita della Nazione.